Io e il movimento 3

Il Commissario Fabbri

«Nella stanza dove mi hanno condotto ho trovato una decina di poliziotti, tutti in borghese, ed in più Fabbri e, credo, forse Ciocia(due funzionari PS di Napoli dellasquadra politica. N.d.r.), ed uno che gli altri chiamavano “dottore” mi diceva che lui mi faceva “gettare il sangue e l’anima”. Mi hanno fatto prima sedere normalmente su una sedia, poi, mentre mi schiaffeggiavano abbondantemente mi chiedevano se conoscevo i due che erano con me sulla macchina, mi tiravano cazzotti, e mi chiedevano quale “azione” ero in procinto di fare, mi tiravano la barba e mi strappavano i capelli per sapere dove avevo dormito la notte. Mi hanno tirato i nervi del collo, spremuto il naso, colpito violentemente con i tagli delle mani sul collo, sulle spalle e sulla schiena, stringendo anche le manette (dopo avevo i polsi il doppio di come li avevo entrando in Questura). Mi hanno storto le dita, le braccia, i gomiti, i polsi…poi mi prendono e mi stendono su una sedia. Uno di loro mi afferra con una mano il piede e con l’altra la coscia destra e fa leva col suo ginocchio. Non riuscivo più a tenere la testa alta, allora il sangue saliva e vedevo da questa posizione la dentiera di Fabbri che si apriva in larghi sorrisi di compiacimento per i suoi assistenti che mi tiravano calci sotto la testa per farmela tenere sollevata da terra… Hanno cominciato poi a tirarmi cazzotti nello stomaco, colpi di punta sul fegato, e continuavano in quella posizione distesa a tirarmi i capelli e a schiaffeggiarmi».

Testimonianza di Alberto Buonoconto arrestato l’8 ottobre 1975.

Era un autentico caino.

Arrivò da Roma col compito specifico di mazziare il più possibile. Lo vedevi sempre in prima fila, in giacca e cravatta, elegante, con l’elmetto, il manganello e la pistola in bella vista. Sempre il primo a caricare e a menare.

Senonchè gli capitò divenire ad abitare a Napoli, ai Colli Aminei, nel parco la Pineta, con precisione in Largo delle Mimose 1, al sesto piano, interno 24. Sono così preciso perché all’interno 25 abitavo io.

Era un pianerottolo del tutto particolare. Al 23 abitava uno dei dirigenti dell’ospedale militare di Napoli. Quasi tutte le sere bussava alla porta di casa mia e ci veniva a trovare. Ripeteva ossessivamente a mamma: “Signora, avete quattro figli maschi, perché devono fare il servizio militare?” E non lo faceva per soldi, ma per buon vicinato. Ma non divaghiamo.

Incontravo quasi sempre il sabato mattina, per la strada, il commissario con la moglie. Bella donna, alta, bionda e lui invece più basso, tracagnotto e sempre in giacca e cravatta. Lei sempre davanti a lui di due o tre metri, lui con tre o quattro sacchetti della spesa stracarichi. Lei camminava leggera e svolazzante, lui ansimava sudando. Insomma era lo schiavetto. Ci incrociavamo, ci salutavamo, io non sapevo reprimere la mia espressione fatta di soddisfazione e sdegno (…ma guarda questo qui!....). Lui vistosamente aveva la vergogna scritta sul suo faccione. Dimenticavo di dire che la spesa la facevano a piedi alla Standa, distante trecento metri dalla casa. Anche lui subiva un seppur blanda forma di tortura.

Ma il lunedì era tutta un’altra storia.

Verso le 8,30-9 ci capitava di uscire assieme da casa. Dopo esserci cordialmente salutati ci davamo appuntamento, di norma, allo scalone dell’università. Lui da una parte, io dall’altra.

Un leggero sorriso, un accenno di saluto e poi di norma botte da orbi.

Secondo me la sua passione per le mazzate dipendeva essenzialmente da due fattori:

  1. Era un fascistoide, cazzo
  2. Era schiavizzato dalla moglie che sicuramente lo tradiva.

Mix micidiale per un coglione di stato

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