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Sono solo

Sono solo

La mia solitudine è una solitudine di moltitudine.Sono solo in mezzo a tutte le persone che più o meno conosco. Le vedo come me, vivono cercando di sopravvivere. Manca completamente una visione del sè come facenti parte del condominio terrestre, di una visione collettiva. E non è solo una questione spaziale, di volume, ma anche di tempo, di vedersi nel tempo.
Ormai mi sono stancato di pensare agli altri come persone da convicere: non credo più nella tradizionale e consuetudinaria prassi politica: le cosiddette masse popolari non le capisco, forse non le ho mai capite. Per me è inconcepibile che in questo periodo storico sbandino verso modelli totalitari che si ritorcono contro di esse. Non ci so parlare, sono ferme nelle loro terrificanti convinzioni. Questa impossibilità di convincere, che io vivo cpme frustrante, però è stata resa strutturale e creativa nei partiti che ho ingenuamente requentato: partiti-setta che gioiscono nell'essere così piccoli ed insignificanti, che hanno l'unica mission di preservare il loro clan. A loro non interessa avere un progetto, una visione, una prespettiva esterna alla loro sopravvivenza. In questo, ad esempio, Sinistra Italiana è l'archetipo di tale solitudine.
I problemi che ho e che sono i problemi di tutti, richiederebbero tali e tanti sforzi e lotte, inquadrate in una prospettiva radicale, molto radicale, cozzano con la banalità e lo squallore diventati lo scenario imperante. 
I soli come me potrebbero dire "ma se anche la cosiddetta sinistra ha abbracciato la visione del mondo della destra, cosa ti aspetti?" Ecco, mi sono rotto anche di questo. la gente potrebbe avere idee di progresso, essere cioè di sinistra, ma in mancanza di un leader, di un partito, di un movimento di sinistra, svirgolano sempre verso forme di nazismo. Odio le masse popolari.

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Intelligenza artificiale-idiozia naturale

Catena di montaggio: Charlie Chaplin nel film Tempi moderni (1936)Stimolato da alcuni amici sui temi dell'IA (lo dico all'italiana), non posso non partire dai fondamentali: i due loschi figuri dell'ottocento hanno studiato a fondo le caratteristiche principali del mondo moderno, dal punto di vista dei rapporti di produzione. Il loro paradigma è semplice. Viviamo in un mondo alienato, nel senso che il nosto lavoro e cosa produciamo non ci appartiene del tutto. Qualcuno obietterà che qualcosa è solo nostro, ma i due studiarono, nel loro librone, anche il concetto molto molto moderno, quasi profetico, del plusvalore relativo. In estrema sintesi : anche quello che scopre un astronomo viene, in un mondo capitalistico, espropriato e quindi alienato da lui. In altre parole anche lo sviluppo della scienza, della conoscenza diventa parte dello sviluppo di un mondo alienato ed alienante. Figuriamoci il resto.
Come una metafora del big bang, anzi del suo opposto, il big crunch, tale organizzazione mondiale dell'economia è arrivata ad una sorta di redde rationem, sta cioè accadendo il collasso di tutte le leggi e di tutti gli ordinamenti, regole, ideologie, di tutto il ciarpame che il capitalismo ha prodotto in oltre due secoli di attività. Tutto cede, tutto precipita in una singolarità instabile che deflagherà in qualcosa che sconvolgerà tutti noi, anzi tutto il pianeta che ci ospita.
Per rimanere nel tema, riprendiamo il concetto di lavoro alienato, con l'esempio proprio dell'intervento di Crozza: è un esempio di come sia complesso parlare di lavoro alienato/non alienato. Lui fa e dice cose condivisibili, schiette, vere, mette in mezzo Marx ed Engels eccetera, ma tra una reclame di pannolini e supermercati, in una tv cosiddetta commerciale che fa i suoi profitti sulla capacità di orientare gli acquisti del pubblico. Il lavoro di uno bravo diviene di per se il veicolo per convincere, in questo caso, il popolo "progressista", su come sia bello spendere 60.000 euro per una macchina elettrica. In altre parole, il lavoro di Crozza è, malgrado la sua volontà, alienato, ceduto ad altri.
E poi, una cosa che mi sta sempre dentro: il lavoro alienato è come uno slalom tra cose buone e gratificanti e cose squallide e tristi. Molti di noi svolgono o hanno svolto attività creative e professionali, molti altri lavori di routine, insignificanti, in cui non c'è niente di umano. Lo sviluppo, anzi il collasso del capitalismo sta spostando l'asticella verso l'alto, rendendo sostituibili da macchine anche attività ritenute apparentemente creative. naturalmente il non detto è che il lavoro produce reddito ed il reddito benessere e quindi la maggior parte dell'umanità è stata costretta a lavorare, cercando di trovare anche scampoli di benessere non solo economico ma anche esistenziale, L'operaio felice di avere la possibiltà di portare la famiglia al mare per una settimana, noialtri a farci un bel viaggio in India per trovare il santone, ma è sempre la stessa cosa, in fondo.Sono le valvole di sfogo di una vita alienata.
La questione è: è necessario lavorare, se per lavoro intendiamo l'attività alienata, a qualsiasi livello di alienazione? In altre parole, il lavoro di un chirurgo è uguale a quello di un medico di base attuale? O l'economista che alloca risorse  del PNRR con l'economista di una banca che decide a chi prestare qualche soldo? Ed ancora. Siamo stati plasmati a rispondere a domande. hai fatto questo o quello? hai fatto la spesa?, hi sei comportato bene? hai avvitato i bulloni? sempre domande fatte da altri. L'IA ormai riesce a rispondere alle domande, in molti casi meglio di un umano, specie se riguardano cose stressanti come un impiego all'inps o al catasto. Ma non sa fare quello che è la caratteristica unica degli esseri umani, quello che ci rende unici: fare le domande giuste.
L'IA è capace di creare immagini, ma sono stereotipate e stucchevoli, Non crea, assembla ciò che c'è. Non so se riuscirà mai a farlo, ma non ora. Ma sottintende un fenomeno: basta col lavoro alienato, meglio che lo faccia l'IA.
Quindi? E' venuto il momento di pigliare il toro per le corna: non fare più lavori usuranti, vivere per la ricchezza di qualcun altro, cercare inutilmente di essere come loro. Ma tutto ciò è incompatibile col big crunch del capitalismo. E' indispensabile andare oltre, distruggerlo. Dentro questo schema, lo schema attuale, siamo fregati, è fregato il pianeta. Ps.: è del tutto ovvio che in questo stato di cose se non si lavora o si lavora solo tre giorni si è poveri. Appunto per questo si deve cambiare scenario. 

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Riflessioni di una sera di novembre. Il Perdono

Perdono

Perdono.

Mi chiedo fino a che punto si può tollerare o quando è arrivato il momento di perdonare. Il perdono implica la comprensione profonda e privata ormai da risentimenti, di colui o coloro che hanno commesso azioni per noi intollerabili. Si può o meno perdonare, anche se i buddisti sono più propensi a farlo, essendo alla lunga, per loro, più pagante. Il perdono può essere però a termine, avere una durata, essere cioè revocato, oppure arrivare e durare per sempre. Un metodo potrebbe essere quello di immedesimarsi o cercare di farlo in colui che si vorrebbe perdonare, capirne i motivi, le circostanze che lo hanno portato ai suoi comportamenti. mettersi, come si suol dire, nei suoi panni. Ma questo, lo dico subito, per me è impossibile. E' come il problema dell'osservatore in fisica: ognuno vede quello che sta fuori da se in modo unico ed originale, rendendo il perdonare un atto unilaterale e soggettivo. Naturalmente chi perdona lo fa inquadrando questo fatto nella sua visione del mondo e secondo quindi i parametri che ha introiettato. Faccio qualche esempio, che serve per chiarire anche a me questo atto del perdonare.
1) Il popolo di Israele. Io non sono uno storico, quindi non faccio distinzioni raffinate tra ebrei, sionisti, israeliani. hanno vissuto durante la seconda guerra mondiale la Shoah, il tentativo di sterminio totale degli ebrei. Alla fine della guerra si è deciso di dare loro una terra, la cosiddetta terra promessa, anche se occupata da altri popoli. Tutta l'umanità ha avuto verso di loro una sorta di immenso senso di colpa per i crimini compiuti contro di loro. E gli ha perdonato tutto. Sono ormai più di settant'anni che hanno, gli israeliani, una politica di espansione, di occupazione, che sembra essere giustificata solo dal complesso di colpa che abbiamo verso di loro, a prescindere dell'uso politico ed economico di tale acquiescenza. Ma chiediamoci: fino a che punto si può continuare a perdonare? Quale è il confine tra acquiescenza e complicità? Tra convenienza e perdono? Il perdono può essere revocato.
2) Esempio personale ma che ha una valenza generale, essendo molto comune nel nostro vivere. Ho dei familiari molto stretti che hanno, e credo non solo a me, fatto della loro vita un esempio di sopruso ed ingiustizia. Ma ormai sono passati tanti e tanti anni e la vita ha fatto il suo decorso, si è in qualche modo comportata in modo da appianare problemi e convinzioni. Sono risalito alle cause che hanno generato tali comportamenti e, come, nel caso precedente, ho compreso che spesso, molto spesso, i carnefici sono a loro volta vittime di qualcun altro, c'è sempre qualcuno più a nord di un milanese, per dirla alla Bellavista. In questo caso ti perdono. Ci ha pensato la vita a farti capire, anzi a farti pagare, i tuoi sbagli.
Ps.: si può anche non perdonare, e la vita continua lo stesso in modo sereno.
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